Sorgenti della Nova e abitato


Il monastero delle Clarisse e la chiesa di S.Maria delle Grazie

Nel 1560 Giulia Acquaviva, moglie di Pier Bertoldo Farnese, fece edificare a sue spese una chiesa con annesso convento dedicata a San Rocco. Dopo soli 57 anni Mario Farnese, figlio di Pier Bertoldo, chiese ai frati che vi risiedevano di utilizzare il convento e la chiesa per metterlo a disposizione della figlia suor Maria Francesca, monaca dell’ordine di Santa Chiara nel convento di S.Lorenzo in Panisperna a Roma. Il duca si impegnava con i frati a costruire per loro un altro convento. Il 26 agosto del 1617 un Breve Apostolico confermava la richiesta. I lavori di trasformazione dell’edificio per accogliere le monache durarono alcuni mesi; il 9 maggio 1618 le clarisse poterono prendere possesso della nuova dimora. Sappiamo che alla cerimonia di insediamento prese parte lo stesso vescovo di Castro e che si svolse una solenne processione per le strade del paese. Fu nominata badessa suor Violante Farnese, sorella di Mario; la nipote del duca, Virginia degli Atti, fu eletta suora vicaria e suor Maria Francesca, giunta al convento insieme alla sorella suor Isabella, divenne Maestra delle Novizie. Nel convento, inoltre, dimoravano 12 zitelle secolari, sotto la rigida regola di Santa Chiara. Suor Maria Francesca, morta in odore di santità, fondò in seguito i conventi di Palestrina, di Albano e della SS.Concezione a Roma.
La chiesa annessa al convento fu dedicata a S.Maria delle Grazie. Qui sono stati scoperti alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, in seguito a lavori di restauro, alcuni affreschi databili alla prima metà del XVI secolo e attribuiti forse a un Mastro Nicola, pittore del quale è documentata la presenza a Farnese almeno nel 1536. Uno di questi raffigura il matrimonio di Galeazzo Farnese e Isabella degli Anguillara, avvenuto negli anni tra il 1514 e il 1518. Tra i vari personaggi raffigurati che partecipano alla cerimonia, probabilmente membri delle due nobili famiglie non ben identificabili, si evidenzia la figura del celebrante, nel quale è da riconoscere il cardinale Alessandro Farnese, prima di essere eletto papa con il nome di Paolo III.
Al di sopra della scena è dipinto lo stemma bipartito della famiglia Farnese con i sei gigli e quello degli Anguillara, caratterizzato da due anguille incrociate. Lo stesso stemma è presente su un piatto, ora conservato nel museo civico, realizzato per il servizio di questo matrimonio. Di fronte a questo affresco, è rappresentata la Visitazione della Madonna a S.Elisabetta. E’ interessante notare l’ambientazione dell’episodio, che si svolge nei pressi di una porta su cui sono delle abitazioni. E’ molto probabile che si tratti della Porta d’ingresso all’abitato di Farnese, vista dalla parte interna, con le soprastanti strutture della Rocca, prima del rifacimento seicentesco realizzato dall’architetto Smeraldi. Sulla destra della porta si vede solo un paesaggio sullo sfondo, in quanto il viadotto che dal palazzo Farnese conduceva ai giardini della Selva non era ancora stato edificato. Questo porterebbe a datare gli affreschi intorno alla metà del XVI secolo, quando il convento e la chiesa erano ancora occupati dai frati Minori di San Rocco (il tema della Visitazione è infatti un episodio evangelico fortemente legato all’ambito francescano).
Altri pregevoli dipinti qui conservati sono una pala d’altare del pittore romano Agostino Masucci del 1750, raffigurante la Crocifissione, e il Ritorno di Mario Farnese dalla guerra di Ferrara, opera di Antonio Maria Panico, databile negli ultimi anni del XVI secolo. Come è stato accennato prima, questo dipinto insieme agli affreschi che decorano la chiesetta di S.Anna, presenta interessanti significati ermetici legati alla scienza alchemica. La raffigurazione è divisa in tre registri: in alto il Padre Eterno benedicente circondato da angeli, di cui i due ai lati estremi suonano un liuto e una viola. Al centro è l’Immacolata con la testa coronata da dodici stelle, che poggia su una falce di luna sopra le nuvole; ai suoi lati due angeli riccamente vestiti; sopra le nuvole campeggiano il sole e la luna. Nello spazio inferiore del quadro, con una netta divisione tra spazio celeste e quello terreno, è raffigurato al centro Mario Farnese che in abiti alquanto dimessi e con uno zaino sulle spalle ritorna dalla guerra di Ferrara (1598), e viene accolto da una donna anziana con il capo velato, forse la madre. Nel lato destro della scena compare Camilla Lupi, moglie di Mario, con la piccola figlia Isabella. Le due donne sono accompagnate da un gruppo di dame di compagnia. Sulla sinistra è un gruppo di figure maschili elegantemente vestite con gorgiera, forse membri della corte Farnese. Sullo sfondo è un paesaggio di città cinta da mura, con torri, campanili e un giardino recintato, un tempietto circolare e una fontana poligonale. E’ inoltre raffigurata l’Idra a sette teste e un cespo di gigli bianchi e rose rosse entro uno scudo. Tutti questi elementi sono chiari simboli che rimandano all’esoterismo ermetico: le sette teste dell’Idra rappresentano le varie fasi dell’opera alchemica, il giardino è l’hortus conclusus degli alchimisti, il cui accesso è precluso ai non iniziati, mentre altri simboli alchemici si possono ravvisare nella fontana, nelle torri (l’athanor, cioè il forno dell’alchimista), e nelle ali degli angeli, raffigurate come code di pavone, richiamando il principio alchimistico della cauda pavonis, cioè la sublimazione, meta del ciclo. Tutte queste figure simboliche compaiono anche nell’apparato decorativo della chiesetta di S.Anna (la torre, il giardino recintato, etc.), anch’esso espressione della cultura ermetica della nobile famiglia.

(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)


La chiesetta di S.Anna

Subito fuori dall’abitato di Farnese, in località “Le Piagge” si trova la piccola chiesa di S.Anna, conosciuta anche come S. Maria della Cavarella. Si tratta di un edificio a pianta rettangolare; sulla facciata presenta il portale d’ingresso con cornice soprastante a timpano, affiancato da due basse finestre, incorniciate da stipiti lisci in tufo. La copertura è a doppio spiovente con cornice a timpano; al centro del tetto è una lanterna ottagonale sormontata da una piccola cupola rivestita da lastre di piombo.
La costruzione della chiesa fu decisa dal Consiglio Comunale di Farnese, in seguito ad un ex voto alla Madonna della Cavarella dopo un’invasione di cavallette il 27 maggio 1577.
La costruzione, progettata da un tal Mastro Sallustio (forse lo stesso che costruì la Casa del Platonio) e finanziata con le elemosine e i fondi della comunità, risulta terminata nel 1584. La tradizione vuole però che la chiesetta sia stata edificata dalla famiglia Farnese come ringraziamento per il felice parto della duchessa Camilla Lupi, moglie del duca Mario Farnese. E’ probabile che, per dare maggior prestigio all’edificio, la famiglia Farnese si sia appropriata della “paternità” della costruzione della chiesa, dedicandola a S. Anna, protettrice delle partorienti. Sicuramente alla famiglia Farnese si deve la committenza della ricca decorazione a stucchi - forse opera di Pompeo Pazzichelli - e delle pitture che decorano l’interno dell’edificio sacro, queste ultime realizzate da Antonio Maria Panico. Oltre agli affreschi, il pittore bolognese realizzò anche due quadri, un’Annunciazione e una Presentazione del Bambino al tempio, che dovevano essere collocate in due dei sei scomparti delle pareti laterali, purtroppo andati perduti. Sulla parete di fondo è posto l’altare, diviso in tre arcate riccamente decorate da stucchi: nell’arcata centrale è l’immagine tardo-quattrocentesca della Madonna della Cavarella, opera di un artista viterbese con influenze senesi, in quelle laterali sono raffigurati S.Giovanni Battista e S.Francesco, opera del Panico. Al di sopra due piccoli riquadri rappresentano il Battesimo di Cristo e S.Francesco che riceve le stigmate. Le vele della cupola presentano una ricca e complessa decorazione in stucco che divide ognuna delle vele in sei riquadri, nei quali sono rappresentati episodi della vita della Vergine; negli altri spazi sono figure allegoriche (la Fortezza, la Fede, la Giustizia, la Carità, in stucco e dipinte), mentre negli interspazi delle cornici sono putti, animali, esseri fantastici e decorazioni vegetali, tra i quali è ossessivamente presente il giglio, simbolo della famiglia Farnese. La particolarità dell’apparato decorativo della chiesetta, osservandolo attentamente, nasconde, negli episodi di carattere sacro della vita della Madonna (la Nascita, la Dormitio Virginis, l’Assunzione), simboli esoterici legati alla scienza alchemica, i cui significati sono comprensibili solo ad un ristretto nucleo di iniziati, del quale lo stesso Panico doveva sicuramente far parte. La decorazione della piccola chiesetta di S.Anna viene così a costituire un vero e proprio Mutus Liber alchemico.
L’interesse per la scienza alchemica ed esoterica è verosimilmente introdotto alla corte dei Farnese da Isabella Pallavicino, madre di Camilla Lupi e suocera di Mario Farnese, la quale dapprima nel suo raffinato salotto a Soragna, dove Mario soggiornò nei primi due anni di matrimonio, e poi nel piccolo centro rurale di Farnese, aveva portato la sua influenza intellettuale. La Pallavicino è infatti ricordata come protettrice di letterati – tra questi il Tasso – e probabilmente proprio a Farnese fondò l’Accademia degli Illuminati.
La pratica nelle dottrine alchemiche della famiglia Farnese è testimoniato anche dalla tela, anch’essa opera del Panico, raffigurante il ritorno di Mario Farnese dalla guerra di Ferrara, conservata nel convento delle clarisse (si veda più avanti), e da un piatto, conservato nel museo civico “Ferrante Rittatore Vonwiller”, nel quale è raffigurata una mano guantata che tiene in pugno una fiamma, che sembra sprigionarsi da una catasta di legna. Il guanto d’amianto (la “salamandra” che resiste al fuoco), in questo caso rappresenta l’alchimista che con la sua conoscenza riesce a dominare la fiamma (cioè il processo alchemico); la catasta di legna infine, a ben guardare, risulta essere formata da due squadre, simbolo della Massoneria. Al di sopra dell’immagine allegorica è un cartiglio con la scritta “Per Celare”, a voler significare che la scienza alchemica non può essere rivelata a tutti, ma è destinata solo a pochi adepti.

(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)


La chiesa di S.Maria della Neve

La chiesa è situata nel centro storico del paese, nell’odierna piazza del Plebiscito. Tradizionalemte è considerata il più antico luogo di culto di Farnese, risalendo forse al X secolo, quantunque tale tesi non sia suffragata da adeguata documentazione storica, mentre è indiscusso il fatto che fu la prima sede parrocchiale del paese fino al XV secolo, quando fu sostituita dalla chiesa del SS. Salvatore.
Dal XII secolo intorno a S. Maria della Neve si formò un piccolo borgo detto Elcetello, dalla presenza di numerosi alberi di elce. Verosimilmente, nel XVII secolo, in questa chiesa officiarono i Frati Minori Osservanti, che avevano trovato dimora in alcune abitazioni del centro del paese, dopo aver ceduto il loro convento di San Rocco alle clarisse, in attesa della costruzione di un nuovo edificio nei pressi della chiesa di San Magno in località Sant’Umano.
La chiesa è a navata unica con una facciata molto semplice realizzata interamente in tufo, con due lesene ai lati della porta e una finestra circolare sopra di essa. Sul lato destro è una piccola torre campanaria. La copertura è a doppio spiovente con tetto a capriate. All’interno è una piccola cappella sul lato destro e un presbiterio. L’entrata della chiesa in origine era sul lato opposto, come lascia supporre la traccia di una porta tamponata dietro il presbiterio. E’ probabile che, con la demolizione di un fabbricato posto dove ora è la piazza del Plebiscito, si preferì spostare l’ingresso all’edificio sacro su questo lato.
Sopra l’altare è un quadro raffigurante la Madonna del Buon Consiglio, del XVII secolo, commissionato dalla Confraternita del Buon Consiglio che in questa chiesa ebbe la sua sede fino alla Seconda Guerra Mondiale.

(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)


Il convento di San Rocco: storia e opere

Essendosi insediate le Clarisse nel convento di San Rocco al borgo, i frati nel frattempo avevano preso sede in alcune case del paese, officiando la messa in una chiesetta vicina, forse di S.Maria della Neve in piazza del Plebiscito. Morto il duca Mario Farnese nel 1619 senza che, come promesso, fosse stato costruito il nuovo convento nei pressi della chiesa situata in località Sant’Umano, i frati decisero di edificarlo da soli con i proventi delle elemosine. La chiesa, in origine dedicata a San Magno Vescovo e Martire, venne consacrata dal vescovo di Acquapendente nel 1733 e dedicata nuovamente a San Rocco. E’ ad una sola navata, con un coro e due cappelle laterali dedicate a S.Francesco d’Assisi e S.Antonio da Padova. Il coro in legno di noce, degli inizi del XVIII secolo, è opera di due religiosi francesi. Nell’altare maggiore è l’immagine del SS. Crocifisso, realizzato in legno da Fra Vincenzo da Bassiano nel 1684. L’autore, del quale poco si conosce oltre la data di morte, avvenuta a Roma nel convento dell’Ara Coeli nel 1694, apparteneva forse all’ordine dei Frati Minori; realizzò diversi crocifissi in legno oltre quello di Farnese, tra questi il più noto è quello ora conservato nel Santuario del SS. Crocifisso a Nemi. Da alcune notizie dell’epoca sappiamo che Fra Vincenzo lavorava alle sue sculture solo di venerdì, dopo aver digiunato a pane e acqua e essersi flagellato.
La cappella di S.Francesco, sulla sinistra della navata, conserva la pala d’altare con la raffigurazione delle Sacre Stimmate di Giuseppe Duprà, della metà del XVIII secolo. La cappella di S. Antonio, sulla destra, presenta l’Estasi di S. Antonio, opera di Giovanni Lanfranco (XVII secolo). Davanti all’ingresso della chiesa si innalza una colonna di granito, proveniente dalle rovine della città di Castro e qui collocata nel 1724.

(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)


Il convento di S.Francesco o dei Cappuccini

Situato all’ingresso del paese venendo da Ischia di Castro, fu edificato nel 1585 da Mario Farnese. I frati cappuccini vi rimasero fino al 1926, quando il complesso fu ceduto alle suore Mercedarie, che ancora oggi vi risiedono. Nella chiesa annessa al convento si trova la tomba fatta costruire da Mario Farnese per sé e sua moglie Camilla Lupi, Marchesa di Soragna. Sulla lapide al centro del pavimento della chiesa è l’iscrizione: DOM CAMILLAE LUPI EX MARCH. SORANAE LATERAE DUC. FOEMINAE LECTISSIMAE NOBILISSIMAEQUE MARIUS FARNESIUS OPTATISS. CONIUGI SIBIQUE COMUNE MONUMENT. VIVENS POSUIT UT IDEM LOCUS UTRIUSQUE MORTUA CORPORA CONTINERET QUORUM ANIMOS IN VITA MARITAL. FIDES OMNIUM RER. COMUNIONE CONIUNXISSET VIXIT CAMILLA AN. XLII VIXIT MARIUS AN.
Il testo ricorda che Camilla è vissuta 42 anni, ma stranamente non riporta quanti anni è vissuto Mario. Nella tomba, oltre a Mario e sua moglie, sono sepolti anche suo fratello Ferrante, morto a Latera nel 1606; suo figlio Ferrante, morto il 26 luglio 1623; Fabio, figlio di Francesco e nipote di Mario, morto a Farnese il 24 agosto1638, e forse anche il cardinale Girolamo (1599-1668).

(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)


S. Maria di Sala e i suoi affreschi

La costruzione della chiesa di Santa Maria di Sala risale al XII secolo, in particolare prima del 1189, anno nel quale i monaci Cistercensi furono chiamati a Sala dal vescovo di Castro.
La chiesa sorge in prossimità del fiume Olpeta, al margine della Selva del Lamone, in un’area occupata in epoca etrusca da una necropoli e in età medievale da un abitato, un castello, una necropoli e un ponte. Il toponimo indica l’origine longobarda del sito, il termine “Sala” indica infatti la struttura politico-amministrativa longobarda della piccola proprietà terriera, dove si raccoglievano i tributi.
Il Castello di Sala, insieme a Farnese, faceva parte dei territori, posseduti originariamente dal conte Ranieri di Bartolomeo, e divenuti, tra il 1172 ed il 1203, proprietà dei conti Ildebrandini. Durante la fine del XV secolo nella chiesa viveva un eremita (Tommaso) dell'ordine degli Agostiniani, il che induce a pensare che non esistessero più centri abitati nelle immediate vicinanze.
La chiesa è a pianta rettangolare con una sola navata e un’abside semicircolare; tre finestre a fessura con doppia cornice sono sui lati lunghi e due ai lati dell’abside. Un’altra finestra con cornice e capitelli si trova sopra il portale d’ingresso. L’edificio sorge nei pressi di una sorgente che sgorga dalla roccia, alla quale si accede da una piccola porta posta sul lato destro, con evidente funzione rituale. E’ da supporre che prima della costruzione della chiesa, in questo luogo si svolgessero particolari funzioni religiose legate al culto delle acque, poi riprese in epoca medievale e rinascimentale, associandole al culto della Madonna. Fino a pochi decenni fa gli abitanti di Farnese vi svolgevano ancora processioni e preghiere, soprattutto in tempo di siccità affinché piovesse. Il tetto, ora crollato, era a doppio spiovente sorretto da capriate e il campanile a vela. Alla chiesa erano annessi altri ambienti, ai quali si poteva accedere attraverso due porte sul lato sinistro della navata, adibiti a sacrestia e abitazione degli eremiti.
Davanti al portale d’ingresso era un nartece, di minore altezza rispetto alla chiesa, con apertura ad arco a tutto sesto e copertura a doppio spiovente. Questi ambienti, dei quali rimangono poche tracce, furono probabilmente costruiti in un momento successivo all’edificazione della chiesa, come si può dedurre dal diverso uso del materiale. L’intero edificio chiesastico è infatti realizzato in blocchetti squadrati di tufo disposti su file regolari. L’interno della chiesa, ora completamente invaso dalla vegetazione, presenta il presbiterio su un piano rialzato diviso dalla navata mediante una balaustra. Sopra l’altare erano tre affreschi incorniciati da una decorazione a stucco, mentre nel catino absidale era dipinto un cielo stellato. Di tali affreschi, uno rappresenta l’Annunciazione ed è databile alla prima metà del XV secolo, ed era collocato nella tribuna al di sopra dell'altare maggiore; l’altro rappresenta la Madonna con il Bambino (Maestà), ed è databile alla prima metà del XVII secolo, realizzato probabilmente in seguito a interventi di restauro della chiesa. Sappiamo, infatti, che durante la visita pastorale del vescovo di Castro effettuata nel 1603, l'interno della chiesa appariva distrutto, mentre nel 1659, in occasione di un'altra visita, la chiesa risulta restaurata e, per la prima volta, viene fatta esplicita menzione della Maestà. Il terzo affresco presente nell’abside, lasciato in situ, è attualmente illeggibile a causa del grave stato di degrado dell’intero complesso. Un quarto affresco, databile nell’ambito del XV secolo e in origine collocato sulla parete destra della navata, raffigura San Sebastiano e la Madonna col Bambino. Queste pitture, staccate e restaurate nel 1979, sono ora conservate nel palazzo comunale di Farnese.

(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)


I butti del centro storico e le ceramiche

Una caratteristica dei centri storici che sorgono su speroni tufacei, come nel caso di Farnese, è la notevole presenza di “pozzi da butto”. Si tratta di grandi pozzi di forma cilindrica o a fiasco, scavati direttamente nel banco di tufo e utilizzati in origine come silos per la conservazione del grano o come cisterne per la raccolta dell’acqua, e in un secondo momento per gettarvi i rifiuti della vita quotidiana. Infatti, in molti statuti medievali di città come Orvieto, Todi, Viterbo, si vietava di gettare le “immondizie” per le strade. Da questo deriva l’uso di gettare tutto ciò che non serviva più (resti di pasto, oggetti di uso quotidiano rotti o non più utilizzabili, etc.) nei butti situati nelle piazzette e nelle strade degli abitati, spesso anche nelle cantine della case private.
A Farnese sono stati individuati molti di questi pozzi; il materiale rinvenuto al loro interno, in prevalenza ceramiche, ora conservate e visibili nel museo civico, permettono di ricostruire uno spaccato della vita quotidiana degli abitanti del borgo in un periodo che va almeno dal XIV agli inizi del XVII secolo. Tra il materiale recuperato, sono da segnalare alcune ceramiche che presentano lo stemma della famiglia Farnese, realizzate su committenza della corte; un boccale rinvenuto pressoché integro, databile nella metà del XV secolo e gettato forse in seguito a qualche epidemia per rischio di infezione; un prezioso rosario in corallo inciso a bulino con medaglietta in bronzo sul quale è l’immagine dell’Immacolata e di San Francesco, riconducibile dunque ad ambito francescano e databile al XVI secolo; infine un raro nettapipe o pressa-tabacco in osso del XVI secolo, riferibile alla cultura degli Indiani d’America, giunto a Farnese al seguito di qualche missionario francescano di ritorno dalle colonie, da poco scoperte, del Nord America.

(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)


La Fontana monumentale.

Il problema dell’approvvigionamento idrico per gli abitanti di Farnese fu molto sentito nel corso dei secoli. In località La Galeazza, su un’altura situata a circa 150 metri ad est dell’abitato di Farnese, si trova una conduttura scavata nel tufo, realizzata sotto il signore Fabio Farnese tra gli anni 1567 e 1570, che doveva portare l’acqua da una sorgente in località “Nempe”, distante circa un chilometro da Farnese, fino al Bottino, per soddisfare le esigenze della popolazione, che fino ad allora era costretta a percorrere ogni giorno diversi chilometri per fare rifornimento di acqua e per lavare la biancheria. Infatti, fino ad allora le fonti d’acqua si trovavano presso il fiume Olpeta, distanti molti chilometri dal paese. Questa impresa, benché realizzata in poco tempo, si rivelò però insufficiente per i bisogni della popolazione, anche in vista di una crescita economica che poteva derivare dallo sfruttamento dell’acqua per l’impianto di manifatture “industriali” quali cartiere, impianti per la lavorazione della lana, del lino e della canapa, che necessitavano di macchine per la follatura dei tessuti di lana e per la concia delle pelli, come le gualchiere.
Un ulteriore tentativo per portare un maggiore flusso d’acqua a Farnese fu realizzato sotto il ducato di Mario Farnese, quando si intrapresero i lavori (1618) per la realizzazione di un vero e proprio acquedotto che doveva portare l’acqua dalla sorgente di San Martino, oggi chiamata “La Botte”, a circa 4 chilometri dal paese. Qui sono ancora visibili i resti di una fornace per la realizzazione di mattoni e pianelle, risalente ad epoca rinascimentale, che sfruttava appunto la presenza d’acqua per la lavorazione dell’argilla. Dopo tre anni di lavoro, il progetto fu abbandonato, sia per gli enormi costi, che condussero Mario Farnese quasi sull’orlo del fallimento - anche se in gran parte le spese furono sostenute dalla Comunità di Farnese - sia per errori nel calcolo delle pendenze.
Nella già citata località “La Galeazza”, Mario Farnese, sfruttando gli impianti idrici esistenti, fece impiantare dei giardini all’italiana, attualmente perduti, animati da fontane scavate nel tufo e rivoli d’acqua che tramite terrazzamenti, arrivavano fino al Bottino con effetti scenografici amplificati dalla presenza di sculture raffiguranti personificazioni mitologiche legate all’“Acqua” e all’elemento silvestre.
Con la morte di Mario nel 1619, finiva il periodo più florido per Farnese, e svanivano le speranze per una ripresa economica. Bisognerà aspettare più di due secoli per vedere avverato il sogno del duca di condurre abbondante acqua a Farnese. Tra il 1886 e il 1887 fu infatti realizzato l’acquedotto che dalla Botte porta tuttora l’acqua al paese, su progetto dell’ingegnere Cesare Tuccimei, e fu costruita la fontana di mostra monumentale, sempre su disegno del Tuccimei, di fianco al palazzo del Municipio. Sul retro della fontana si trova la cisterna, un grande ambiente con volte a crociera, ora restaurato dal Comune e adibito a spazio espositivo per mostre.
Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, dopo la realizzazione dell’acquedotto furono realizzate altre opere che contribuirono allo sviluppo del paese; tra queste il mulino in località San Magno e il lavatoio pubblico del Bottino, in uso fino a pochi anni fa e ora adibito a sede della Riserva Naturale Selva del Lamone. Fu inoltre sistemata la piazza davanti a palazzo Chigi, oltre le arcate del viadotto farnesiano, dove fu costruita nel 1937 la fontana che oggi si trova nell’area adibita a giardino pubblico.

(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)


I giardini all’italiana e gli edifici medievali della Galeazza

“La Galeazza”, pianoro posto di fronte all’abitato di Farnese verso est, all’epoca di Mario Farnese doveva essere un luogo ameno. I giardini all’italiana, che il duca vi aveva fatto costruire, si articolavano in terrazzamenti dai quali fluiva l’acqua di fontane e rivoli d’acqua scavati nel tufo. Statue di erme, ninfe e animali animavano il paesaggio secondo il gusto ornamentale dell’epoca. Di tutto questo non rimane nulla. Attualmente in quest’area sono visibili due edifici che dominano l’altura, dei quali non abbiamo alcuna notizia. Dal tipo di strutture si può ipotizzare che si tratti forse di una chiesa con un edificio annesso, probabilmente un convento, risalenti al periodo medievale.
Il primo edificio, in cortina di tufo, è a due piani; il piano terra è diviso in ambienti con corridoi a volta e stanze con soffitti con archi a crociera. Il secondo piano è articolato in due grandi ambienti con copertura a capriate; l’esterno doveva avere in origine dei merli guelfi. Attualmente l’edificio, che ha subito notevoli rimaneggiamenti, è adibito ad abitazione privata.
L’altra struttura, ora utilizzata come stalla e deposito, sembra essere l’unico esempio di architettura gotica presente a Farnese. L’edificio, diviso in due grandi ambienti a pianta rettangolare, presenta infatti una successione di archi a sesto acuto in blocchi di tufo con contrafforti esterni.

(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)