La Storia
Gli Etruschi e la conquista Romana
Il pianoro tufaceo, circondato da due fossi confluenti che danno origine a ripide pareti, sul quale sorge oggi il borgo medievale di Farnese, fu abitato già dall’età del Bronzo finale (XII-X secolo a.C.). Qui infatti sono state trovate tracce di un esteso villaggio di capanne e frammenti ceramici, riferibili a questo periodo, oggi conservati nel museo civico “Ferrante Rittatore Vonwiller” di Farnese. Alla fine dell’età del Bronzo questo insediamento, come altri abitati vicini (Sorgenti della Nova, Ghiaccioforte, etc.), venne volontariamente abbandonato dai suoi abitanti, che preferirono spostarsi verso il mare, occupando il vasto pianoro lungo il corso del fiume Fiora, dove un secolo più tardi sorgerà la potente città etrusca di Vulci.
In epoca etrusca il territorio di Farnese era posto sotto il controllo vulcente; lungo il corso del fiume Olpeta, uno dei principali affluenti del Fiora, che funge da confine naturale del versante meridionale della Selva del Lamone, sono stati individuati molti siti etruschi; tra questi le necropoli di Naviglione e Palombaro, la tomba monumentale del Gottimo, con soffitto a travature scavate nel tufo – tipologia tipicamente vulcente – e l’insediamento fortificato di Rofalco, posto a controllo della valle dell’Olpeta (materiali esposti nel museo di Farnese).
Dopo la conquista romana di Vulci nel 280 a.C., anche il territorio di Farnese passa sotto il controllo di Roma. Rofalco, nonostante la sua imponente cinta muraria, viene distrutta violentemente – come dimostrano le numerose tracce di incendio e le armi rinvenute durante gli scavi effettuati sul sito. Dall’età repubblicana e per tutto il periodo imperiale si insediano numerose villae rusticae, collegate tra loro da un capillare sistema di strade basolate, del quale restano tracce all’interno della Selva del Lamone. Oltre alla presenza di diverse fattorie, sono stati individuati da ricognizioni archeologiche almeno quattro pagi (villaggi) situati rispettivamente a Rofalco, Valderico, Stenzano, Semonte, gravitanti probabilmente attorno ai centri maggiori (Castro o il nuovo municipium di Visentium-Bisenzio, presso il lago di Bolsena). Mentre per il territorio tra Castro e Canino è accertata la presenza di centuriazioni, per quanto riguarda Farnese e la Selva del Lamone tale divisione territoriale non è accertata; è certo però che le strade basolate ricalcano antichi tracciati etruschi che dall’interno portavano a Vulci, costituendo, inoltre, dei diverticoli della via Clodia, il principale asse viario riportato anche nella Tabula Peutingeriana, che collegava Tuscania con Saturnia, passando per Castro.
(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)
Il Medioevo
In epoca altomedievale sembra essere certa la presenza nel territorio di genti longobarde, come testimoniano i numerosi toponimi (Valderico, Santa Maria di Sala, Salabrone, etc.). Nel vicino territorio di Ischia di Castro, inoltre, in località La Selvicciola, è stata scavata presso i resti di una villa romana e una chiesa altomedievale, una vasta necropoli longobarda. E’ probabile che anche nel territorio di Farnese si siano installati insediamenti longobardi sui resti di fattorie e ville romane, dove successivamente sono sorti edifici chiesastici.
Il territorio di Farnese entrò a far parte della “Tuscia Langobardorum” dopo l’817, all’epoca di Ludovico il Pio, passando così sotto il diretto dominio degli imperatori franchi.
A partire dall’XI secolo, quando tutta l’area conosce il fenomeno dell’incastellamento (tracce di castelli ora diruti si trovano a Castiglione-Sorgenti della Nova, Valderico, ai Casali di San Pantaleo, la Botte, Sala, Citignano, Stenzano), nasce anche il castrum Farneti, nel luogo naturalmente difeso dove era l’antico villaggio di capanne dell’età del Bronzo. E’ probabile che il nome Farnese o Farneto, derivi dalla presenza di boschi di farnie (Quercus robur), un tipo di quercia ora pressoché scomparsa. La scarsità di documenti per questo periodo non fornisce però altri dati. Il nome di Farnese compare infatti per la prima volta in un diploma d’infeudazione del 1210, rilasciato dall’imperatore Ottone IV a Ildebrandino Ildebrandeschi sulle terre che erano precedentemente appartenute al Conte Ranieri di Bartolomeo, e che costituivano la cosiddetta “Terra Guiniccesca”, un grande feudo tra la bassa Toscana e l’Alto Lazio, assoggettato nel 1168 dal Conte Ranieri al comune di Orvieto. Nel diploma vengono elencati i castelli e le terre del feudo, comprese tra le sedi vescovili di Castro e Sovana: Pitigliano, Sorano, Vitozza, Sala, Ischia, Farnese, Castiglione (Sorgenti della Nova), Petrella, Morrano, Castellarso, Latera, Iuliano e Mezzano.
Il nome di Farnese compare ancora nel 1216 nella suddivisione della contea Aldobrandesca tra i quattro figli di Ildebrando. Nel corso di tutto il XIII e almeno fino alla metà del XIV secolo Farnese è sottomessa al comune di Orvieto. Nel 1347 infatti i signori di Farnese e Ischia pagavano ancora a Orvieto il tributo per questi due castelli. Il castro di Farnese compare anche nell’elenco delle decime della diocesi di Castro per gli anni 1274-1280 (“…presbitero Gorgio de Franneto X sol. Cort”.). Il documento è importante in quanto ci informa che in questo periodo vi era un presbitero, cioè una chiesa parrocchiale con prete officiante, forse da identificare nella chiesetta di S. Maria della Neve (si veda più avanti). E’ probabile però che in quest’epoca l’abitato consistesse soltanto in un borgo fortificato con una rocca e una piccola chiesa. Solo nei secoli successivi il borgo si sviluppa con il tipico aspetto degli insediamenti medievali, con l’intrico di vicoli e case basse, spesso con loggette ad arcate realizzate con blocchi di tufo squadrati, offrendo al visitatore squarci suggestivi.
(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)
La famiglia Farnese
La storia dell’abitato di Farnese non può prescindere da quella della famiglia che vi dominava, in quanto molti degli edifici che ancora oggi si possono ammirare sono dovuti alla volontà dei Farnese.
A partire dalla fine del XIII secolo i documenti attestano la presenza in questi territori di alcuni personaggi appartenenti alla famiglia Farnese, forse di origine orvietana, legata alla fazione guelfa, che diventerà una delle casate più importanti nel medioevo e nel Rinascimento, e che prende nome probabilmente proprio da Farnese, uno dei castelli di loro proprietà (domini de Farneto).
Il primo personaggio appartenente a questa famiglia può essere riconosciuto in un tale Giovanni, vassallo degli Aldobrandeschi, che nel 1222 rinnova la sottomissione a Orvieto per i castelli di Ischia e Farnese. Nel 1294 risultano signori del Castrum Farneti Pepo di Ranuccio di Pepo e i suoi fratelli, che dunque si sono distaccati dagli Aldobrandeschi, avendo il pieno possesso dei feudi. I nomi di Pepo e Ranuccio compariranno anche in seguito nella famiglia Farnese, dunque questi sono da considerare i primi rappresentanti della stirpe.
Il casato dei Farnese compare ufficialmente per la prima volta in un documento del 1315: i “Domini de Farneto” con i loro castelli, le terre, i fedeli e i familiari loro sono ricordati tra i primi nobili e baroni del contado di Orvieto che affiancano il comune nella rivolta contro il rettore del Patrimonio di San Pietro in Tuscia.
Nel 1322 la stirpe di Ranuccio di Pepo de Farneto viene inclusa nella Declaratio dei nobili della città e del contado di Orvieto. In seguito i Domini de Farneto rimasero fedeli alla Chiesa durante tutto il periodo dell’asilio avignonese dei papi, e nel 1353 prestarono il loro aiuto militare al legato pontificio cardinale Egidio Albornoz, in particolare durante le lotte contro i Prefetti di Vico, che portarono alla restaurazione della sovranità pontificia nel Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Giurando fedeltà e sottomissione alla Chiesa, i Farnese ottennero il riconoscimento sui feudi che già possedevano e anzi aumentarono l’estensione dei loro domini, gettando le basi dei futuri ducati di Castro e di Latera e Farnese. Nel 1354 risultano possessori di pochi castelli: Farnese, Ischia, Cellere e una parte di Tessennano.
La fortuna della famiglia inizia con Ranuccio, figlio di Pietro e nonno di papa Paolo III. Scampato al cosiddetto “eccidio di Ischia” (1395), e in cambio degli aiuti resi alla Chiesa, egli divenne il banchiere della Camera Apostolica su molti territori, per i quali assicurava la difesa e la riscossione delle imposte. La famiglia Farnese, dunque, fino a questo momento dedita al mestiere delle armi, spesso in modo mercenario, vede aprirsi le porte della carriera ecclesiastica, che porteranno molti suoi esponenti al rango cardinalizio, fino all’apice della loro fortuna con l’elezione a pontefice del cardinale Alessandro Farnese col nome di papa Paolo III (1534).
Nel corso del XV secolo i Farnese sembrano staccarsi da Orvieto e appoggiarsi invece a Viterbo.
Nel 1537 papa Paolo III Farnese costituisce per il figlio Pier Luigi il ducato di Castro; non è provata da alcuna documentazione invece la contemporanea istituzione del ducato di Latera e Farnese, che compare citato esplicitamente per la prima volta soltanto in un documento del 27 agosto 1612, in cui compare il titolo di Duca di Latera attribuito a Pietro Farnese. Probabilmente il ducato di Latera e Farnese esisteva già dopo il 1537 di fatto, ma non di diritto, ed ebbe come centro principale l’abitato di Farnese, in cui risiedettero i rappresentanti di questo ramo della famiglia. Successivamente la residenza viene trasferita a Latera, fino all’estinzione della famiglia nel XVIII secolo.
Il primo signore di Latera e Farnese può considerarsi Pier Bertoldo, figlio di Galeazzo, che successe alla guida del feudo alla morte del padre, avvenuta dopo il 1537. Pier Bertoldo dispose di essere sepolto nella chiesa parrocchiale di Farnese dedicata al SS. Salvatore (1560). Sua moglie Giulia Acquaviva nello stesso anno fece costruire la chiesa di S. Rocco con il convento annesso dei Frati Minori Osservanti.
Uno dei figli di Pier Bertoldo, Galeazzo II, introdusse importanti norme sull’amministrazione del feudo, tra cui la concessione dell’uso dei pascoli della selva del Lamone agli abitanti di Farnese, uso che si conserva ancora oggi.
Il periodo di maggiore floridezza di Farnese si deve al ducato di Mario, il quale nel 1583 emana lo Statuto, in cui si stabilivano le norme fondamentali per la comunità riguardanti i più disparati campi delle attività del piccolo Stato farnesiano: dai regolamenti di giustizia, alle cariche amministrative della Comunità, alle attività agricole, alle tariffe da tenersi da parte dei vari artigiani, alle norme.
Nel 1585 fece costruire il convento dei Cappuccini dedicato a S. Francesco d’Assisi. Nel 1596 fece restaurare la chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, dove vennero innalzati quattro nuovi altari, due dei quali decorati dal Panico.
Altre opere dovute a Mario sono la costruzione del nuovo quartiere del Borgo, subito fuori della Porta per ospitare i suoi dipendenti, la creazione dei parchi e giardini all’italiana della Selva, della Galeazza, di Ragnara, ora tutti scomparsi.
Dopo la distruzione di Castro (1649), Farnese entrò a far parte della diocesi di Acquapendente.
In questi anni il Ducato di Farnese, a causa dei forti debiti che gravavano sulle sue casse ormai esauste, contratti per mantenere lo sfarzo della corte Farnese nel ducato di Parma e Piacenza, viene ceduto, con chirografo di papa Alessandro VII del 7 giugno 1658, dal cardinale Girolamo e da suo fratello, il duca Pietro, al cardinale Flaminio Chigi, nipote del papa, per la somma di 275.000 scudi. Agostino Chigi, principe di Farnese, emanò un ulteriore statuto, e fece costruire durante il suo principato il palazzo Chigi, attuale sede del Comune.
Nel 1798 le truppe napoleoniche tolsero la proprietà di Farnese ai Chigi; in seguito il paese fece parte della Repubblica Romana, per poi tornare sotto il controllo diretto della Chiesa. Fu acquistato successivamente dai Torlonia, e dopo l’Unità d’Italia passò allo Stato Italiano.
(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)
Il Brigantaggio
La Maremma, e in particolare il territorio di Farnese con l’impenetrabile Selva del Lamone, fu nell’Ottocento teatro di un fenomeno diffuso in molte regioni del centro e del sud Italia, quello del brigantaggio. Ancora oggi molti degli abitanti della zona conservano viva memoria delle gesta di Ansuini, Menichetti, Biscarini, Pastorini, Biagini e soprattutto di Domenico Tiburzi, detto anche Domenichino o Re del Lamone, perché per decenni passò la sua vita nascosto nel bosco del Lamone.
In una società dove dominava la miseria e gli abitanti dei paesi venivano vessati da tasse e balzelli che i signori locali esigevano da loro, questi personaggi erano visti non come criminali, ma come difensori dei poveri e degli oppressi. Soprattutto Tiburzi potè godere per tutti gli anni della sua latitanza dell’omertà della popolazione farnesiana, che vedeva in lui chi poteva far rivalere i suoi diritti nei confronti dei ricchi proprietari e latifondisti.
Molti sono gli episodi legati alla figura di Tiburzi che si possono ricordare, dall’inizio della sua carriera criminale nel 1867, quando uccise il fattore del conte Guglielmi di Montalto di Castro, che lo aveva denunciato per pascolo abusivo, all’uccisione feroce di Antonio Vestri che lo aveva tradito: costui, rientrando a Farnese insieme a cinque legnaioli durante la settimana Santa del 1889, fu ucciso con una scarica di fucile durante un’imboscata, sgozzato e infine gli fu tagliata la lingua davanti ai suoi compagni.
Dai suoi rifugi presso la Roccaccia (Sorgenti della Nova) d’estate e dalla città distrutta di Castro in inverno, Tiburzi faceva pervenire ai fattori che infierivano sui poveri abitanti di Farnese biglietti minatori, mentre ai ricchi proprietari e ai latifondisti veniva imposta la “Tassa sul brigantaggio”, che garantiva l’ordine nei loro possedimenti.
Nell’agosto 1889 il compagno di Tiburzi, Domenico Biagini detto il Curato, insieme al nipote Luciano Fioravanti fu sorpreso dai carabinieri nella macchia di Gricciano, e morì per un colpo apoplettico. Il fattore del marchese Guglielmi, Raffaello Gabrielli, che doveva avvertire il Biagini della presenza dei carabinieri, fu ucciso per vendetta pochi mesi dopo da Tiburzi davanti a 120 braccianti.
Nel 1893 fu celebrato a Viterbo un famoso processo per brigantaggio, che portò all’arresto di 271 persone nella Maremma Tosco-Laziale, colpevoli di favoreggiamento nei confronti dei briganti; tra questi anche il sindaco e il segretario comunale di Farnese. Pur avendo stroncato in questo modo la fitta rete di connivenze che Tiburzi aveva creato in tanti anni, egli continuò la sua attività ancora per qualche anno, finchè fu ucciso il 24 ottobre 1896 nei pressi di Capalbio.
Di Tiburzi si conosce una sola immagine, la foto scattata al suo cadavere dopo la sua cattura. Con lui finiva in Maremma l’epoca dei briganti.
(I testi sono stati elaborati dal Dott. Luciano Frazzoni direttore del Museo di Farnese)